Oscar Ganzina
Il Marchese Giuseppe Roi
Roma 1929, Ghitta Carrel.
Ritratto della marchesa Antonia Roi Lonigo
con i figli Maria Teresa e Giuseppe

La famiglia Roi

Della famiglia Roi, originaria della località di Fusea in Carnia, si hanno tracce già dalla fine del Seicento. All’inizio dell’Ottocento un Pietro Roi di professione scalpellino, si insediò con i suoi cinque figli a Bassano con l’attività di commercio della canapa. Nel 1823 padre e figli si trasferirono a Sandrigo per approdare poi, nel 1835, a Vicenza, dove continuarono l’attività della lavorazione e commercio della canapa. Il primo vero industriale fu Giuseppe, figlio di Pietro, nato a Sandrigo nel 1828 e morto a Vicenza nel 1889.

Dopo le scuole tecniche, Giuseppe iniziò in azienda la collaborazione col padre che, morendo prematuramente nel 1851, lo lasciò da solo a gestire l’intera azienda. Egli si rese subito conto della necessità di un ammodernamento tecnologico della filatura e del biancheggio, in quanto il loro prodotto non era di buona qualità e doveva soggiacere alla concorrenza dei canapifici stranieri che immettevano sul mercato prodotti migliori e a minor prezzo. Nel 1857, quindi, Giuseppe Roi si recò in Svizzera dove vide e acquistò alcuni telai meccanici che installò negli ex mulini in contra’ San Marco.

Ma l’avvio della tessitura fu difficile in quanto i telai non funzionavano bene. Visitò allora altri canapifici in Lombardia e Piemonte ma, non ottenendo alcunché di utile, decise di recarsi in Inghilterra che in quei tempi era all’avanguardia nello sviluppo industriale.

Aiutato dalla moglie Francesca Corato, che parlava sia il francese che l’inglese, visitò varie fabbriche; ebbe molte informazioni tecniche e organizzative e ritornò a Vicenza, convinto che doveva dedicarsi esclusivamente alla tessitura, tralasciando la filatura dato che, a quei tempi, poteva rifornirsi facilmente di filato estero a buon prezzo. Introdusse i nuovi telai inglesi e nel 1871 aprì una nuova fabbrica per la tessitura a Vivaro; l’anno successivo ammodernò quella di Vicenza e nel 1873 ne affidò la direzione al capotecnico inglese James Murray.

Le cose andarono così bene che nel 1875 Giuseppe Roi decise di costruire un nuovo stabilimento a Cavazzale. Nel 1881 comprò a Debba un’imponente caduta d’acqua e nel 1883 cominciò un grandioso impianto di filatura, completato l’anno successivo, dotandolo di nuove macchine, tanto da occupare solo in quello stabilimento 500 operai. Il cavalier Giuseppe Roi morì appena sessantunenne nel 1889, stimato e benvoluto dalla popolazione vicentina, come testimonia un articolo apparso sul giornale "El Visentin" che viene riportato qui di seguito:
"xe morto a 61 ano Giuseppe Roi proprietario dei grandiosi stabilimenti de filatura de Deba, Cavazzale e Vivaro. Omo intraprendente e lavoratore, soridendoghe la fortuna, el ga savudo dal gniente crearse una forte sostanza. Omo de carità non pelosa el sovegneva continuamente, soto l'anonimo, i nostri istituti de beneficienza. Su la tomba del grande industriale anca el Visentin sbassa la testa".
Alla morte del grande pioniere nei tre stabilimenti di Cavazzale, Debba e Vivaro lavoravano circa 1.000 operai. Aveva avuto sette figli, di cui tre morirono giovanissimi. Tutti i suoi beni passarono ai figli viventi: Irene, Giuseppe, Gaetano e Giulio, i quali successivamente si divisero la proprietà.

L’attività industriale canapiera passò a Giuseppe e a Gaetano che, alcuni anni dopo si separarono: Giuseppe ebbe gli stabilimenti di Cavazzale e Vivaro, mentre l’impianto di Debba andò a Gaetano. Quest’ultimo stabilimento uscì ben presto dall’ambito della famiglia Roi, perché Gaetano, nel 1906, lo cedette alla ditta Carugati di Milano. In seguito venne chiusa anche la tessitura di Vivaro, assorbita dalla fabbrica di Cavazzale.

Giuseppe Roi, nonno di Boso, nacque a Vicenza nel 1863. A 14 anni lasciò la scuola per aiutare il padre nella gestione dei canapifici, dei quali, negli anni a seguire, assunse la direzione. Il 1° settembre 1888 sposò Teresa Fogazzaro, figlia primogenita del letterato e senatore Antonio, che gli diede cinque figli: Irene (nata nel 1889 sposa il nobile Geri de’ Pazzi), Margherita (nata nel 1890, sposa Domenico Tumiati), Giuseppe, padre di Boso (nato a Vicenza nel 1894, sposa a Padova nel 1921 la nobile Antonia Lonigo), Bianca (nata nel 1897, sposa nel 1924 il conte Giovanni Marcello Grimani Giustinian) e Antonio (nato nel 1906).

Irene, Bianca, Margherita, Gino, Antonio Roi

Nel 1901 il papa Leone XIII gli conferì il titolo nobiliare ereditario di marchese, titolo che nel 1925 gli fu riconosciuto anche dal re Vittorio Emanuele III, a motivo del suo grande impegno a favore delle classi meno abbienti, nello spirito sociale dell’enciclica Rerum Novarum. Ovviamente il matrimonio ed il titolo nobiliare elevarono il ruolo della famiglia Roi nella società italiana, sia nel campo delle relazioni personali che in quelle economiche, politiche e culturali. Il marchese Giuseppe Roi, nonno di Boso, oltre che seguire la sua industria, acquisì gradualmente vaste proprietà fondiarie nel ferrarese, sia per diversificare gli investimenti, sia per assicurarsi l’approvvigionamento diretto della canapa in quella zona che era la più importante produttrice d’Italia di canapa greggia e semilavorata.

Il canapificio Roi, certo il più importante del Veneto, era uno dei pochi in Italia ad avere un ciclo di lavorazione completa fino alla tessitura e dava prodotti di notevole pregio, destinati sia al consumo interno che all’esportazione. Il marchese fu attivo anche in molteplici istituzioni e amministrazioni pubbliche, tra cui quella di Vicenza, dove fu Sindaco per un biennio. Nel 1913 fu eletto Deputato al Parlamento per il collegio di Thiene – Asiago e tale rimase fino al 1919. Per la sua intensa attività privata e pubblica ricevette dal re una decina di importanti onorificenze, fra le quali la nomina a Grande Ufficiale nell'ordine della Corona d'Italia e successivamente in quello dei SS. Maurizio e Lazzaro. Numerose furono le iniziative assistenziali e sociali del marchese Giuseppe Roi a favore degli operai del canapificio di Cavazzale. Sull’esempio di grandi imprenditori come Alessandro Rossi a Schio e Gaetano Marzotto a Valdagno, volle creare, seppur in dimensioni ridotte, la città sociale. Realizzò quindi un villaggio operaio formato, alla fine, da oltre sessanta abitazioni. Già dal 1922 Giuseppe Roi aveva in animo di costruire una nuova sede per l’asilo infantile e la scuola di lavoro. Successivamente nel progetto vennero incluse sale per lo svago degli operai e soprattutto la sala teatrale, di proporzioni veramente eccezionali per quei tempi, dove agì poi un’importante filodrammatica. Il dopolavoro ebbe anche notevoli attività sportive. Tutto ebbe termine intorno agli anni cinquanta, compresa pure la filodrammatica.

All’inizio del Novecento il marchese Roi, nonno di Boso, acquistò un appezzamento di terreno a Roma, nella zona Prati, dove più tardi costruì un palazzo che diventò la sua sede quando si recava a Roma per affari o per partecipare alle sedute del Parlamento nel periodo in cui fu Deputato (dal 1913 al 1919). Ed in quella casa, appena sessantatreenne, il 3 dicembre 1926 si spense dopo breve malattia. Le imponenti esequie, documentate in un volume pubblicato nel primo anniversario della sua scomparsa (1927), testimoniano l'importanza sociale e imprenditoriale del marchese Giuseppe e ci offre un quadro preciso dei complessi riti che si accompagnavano ad una morte di un personaggio illustre. In esso si possono leggere, suddivisi per argomento, tutti gli: "Annunzi e onoranze funebri - Commemorazioni - Condoglianze ufficiali e non - Ricordi - Epigrafi - Elargizioni della famiglia e lo svolgimento dei funerali con partenza da Roma e arrivo a Vicenza, in cattedrale, fra ali di folla commossa.
L’attività della famiglia Roi continuò con Giuseppe, chiamato Gino, padre di Boso. Oramai il marchese Giuseppe, erede con il fratello Antonio anche delle fortune della famiglia Fogazzaro che si estinse nella famiglia Roi, aveva frequentazioni ai massimi livelli e divideva il suo tempo nelle varie residenze che la famiglia possedeva.
Purtroppo l’attività delle aziende, che durante l’ultimo conflitto mondiale occupavano ancora 1.200 operai, con gli anni cinquanta si andava riducendo drasticamente, tanto che nel 1955 venne comunicato il licenziamento di 420 operai. Ci furono lotte, scioperi, occupazioni contro l’egoismo padronale, ma, nonostante l’interessamento delle più alte autorità, nel 1957 il canapificio chiuse definitivamente i battenti. È curioso notare che in fondo erano passati poco più di trent’anni dalla posa della prima pietra del grandioso edificio del dopolavoro, in cui gli operai osannanti scrissero nella pergamena racchiusa nella prima pietra che

“… il monumento di illimitato vero amore all’operaio, vincolo di fraterna collaborazione tra capitale e lavoro, valido contributo alla prosperità e grandezza della patria, dirigenti impiegati operai dell’opificio di filatura e tessitura della canapa e lino della ditta Giuseppe Roi in Cavazzale, conquisi da un atto così solenne di generosità - di amore - di interessamento del loro capo On. Grande Uff. Marchese Giuseppe Roi porgono col cuore commosso i loro vivissimi ringraziamenti, promettono corrispondenza indefettibile di rispettosi onorevoli sentimenti, fanno voti per la sempre crescente prosperità dell’illustre famiglia Roi esempio preclaro di virtù - attività - munificenza”

Trent’anni dopo erano ben mutate le situazioni e gli stati d’animo.

Si trovarono coinvolti in questo difficile stato di cose Antonio Roi ed il nipote Giuseppe, poco più che trentenne, in quanto suo padre era mancato a Fiuggi nel 1947.
Vennero venduti gli opifici, le case, anche se a prezzi di gran favore agli operai, e finì il legame Roi - Cavazzale.
Apriamo ora una parentesi per la famiglia Fogazzaro che, come si è detto, si estinse nella famiglia Roi portando notevoli mezzi economici ed una patente culturale che caratterizzerà le ultime generazioni Roi.
I vecchi Fogazzaro erano montanari, l’amore della montagna mi viene dal sangue” scrive Antonio Fogazzaro. Infatti verso la fine del Seicento i Fogazzaro scesero veramente dalla montagna a Schio, dove iniziarono l’attività della fabbricazione dei pannilana e con essa arrivò un notevole benessere. Fu Antonio Fogazzaro, nato a Schio nel 1774 e morto a Vicenza nel 1856, nonno dello scrittore, a volere dall'architetto Antonio Caregaro-Negrin la ricostruzione e l’ampliamento della villa di Montegalda, dove passerà molto tempo dedicandosi all’agricoltura.

Mariano Fogazzaro, padre dello scrittore Antonio (1814-1877)
Teresa Barrera, sposa di Mariano Fogazzaro e madre di Antonio (1808-1891)

Non vide certamente di buon occhio il patriottismo del figlio Mariano ed il fervore religioso degli altri due figli don Giuseppe e suor Maria Innocente. Il figlio Mariano partecipò ai moti rivoluzionari del 1848, esule a Torino dopo il ’59, sposò Teresa Barrera, figlia di un architetto della Valsolda, molto attivo anche a Vicenza. Questo matrimonio, come tutta la formazione intellettuale del figlio, non potè essere compresa dal padre Antonio che minaccia di diseredarlo. La famiglia di Mariano sarà costretta a vivere con l’aiuto dello zio Pietro Barrera. Come si intuisce facilmente siamo già introdotti nella trama di Piccolo mondo antico. Dopo la morte del padre le cose cambiarono radicalmente e nel 1866 Mariano venne eletto Deputato per il collegio di Marostica.

Antonio Fogazzaro

Antonio Fogazzaro nacque a Vicenza nel 1842 in una famiglia oramai della ricca borghesia cattolica e liberale. Ricevette, fin dall’infanzia, un’educazione religiosa e patriottica influenzata soprattutto da due personalità: lo zio Giuseppe Fogazzaro, sua guida durante gli studi ginnasiali, ed il poeta Giacomo Zanella, suo docente al liceo classico.

Dopo aver ottenuto il diploma di maturità, fu convinto dal padre ad iscriversi alla facoltà di giurisprudenza a Padova, nonostante la sua propensione per le materie letterarie. Nel 1864 conseguì la laurea presso l’Università di Torino dove la famiglia si era trasferita per motivi politici in seguito all’esilio del padre imposto dalle autorità austriache. L’anno successivo iniziò la pratica legale a Milano e là, spinto dalla sua passione letteraria, entrò in contatto con l’ambiente della Scapigliatura. Nel 1866 sposò la nobile vicentina Margherita di Valmarana, dalla quale ebbe tre figli: Teresa, nonna di Boso, Mariano e Maria.

Nel 1869 tornò definitivamente a Vicenza interrompendo la carriera legale per dedicarsi completamente a quella letteraria. Il suo esordio come poeta avvenne nel 1874 con la novella in versi Miranda a cui seguì la raccolta di poesie Valsolda. Il successo si presentò solamente due anni dopo con la pubblicazione di Malombra, un romanzo di tendenze tardo-romantiche e scapigliate. Ma l’opera più famosa di Antonio Fogazzaro fu e rimane Piccolo mondo antico del 1895. Da questo romanzo, nel 1941, Mario Soldati trasse un film di enorme successo con Alida Valli e Massimo Serato.

Successivamente anche Malombra, nel 1942, e Daniele Cortis, 1947, diventarono film di Mario Soldati. Ciascun romanzo del Fogazzaro, oltre a includere personaggi realmente esistiti, è ambientato in una riconoscibile villa: Malombra si svolge principalmente nella villa “La Pliniana” sul lago di Como; la villa di Daniele Cortis è ben identificabile con villa Valmarana a Seghe d’Astico, mentre Leila viene ambientata ne “La Montanina” a Velo d’Astico. Così la villa di Oria è descritta, fin nei minimi particolari, in Piccolo mondo antico:

Margherita di Valmarana moglie
di Antonio Fogazzaro (1843-1922)
Alida Valli in una immagine del film:
Piccolo mondo antico con dedica a Boso Roi

Il sole calava dietro al ciglio del monte Brè e l’ombra oscurava rapidamente la costa precipitosa e le case di Oria, imprimeva, violacea e cupa, il profilo del monte sul verde luminoso delle onde che correvano oblique a ponente, grandi ancora ma senza spuma, nella “breva” stanca. Casa Ribera si era oscurata l’ultima. Addossata ai ripidi vigneti della montagna, sparsi d’ulivi, essa cavalca la viottola che costeggia il lago, e pianta nell’onda viva una fronte modesta, fiancheggiata a ponente, verso il villaggio, da un giardinetto pensile a due ripiani, a levante, verso la chiesa, da una piccola terrazza gittata su pilastri che inquadrano un pezzo di sagrato. Entra in quella fronte una piccola darsena dove allora si dondolava, fra lo schiamazzo delle onde, il battello di Franco e Luisa. Sopra l’arco della darsena una galleria sottile lega il giardinetto pensile di ponente alla terrazza di levante e guarda il lago per tre finestre. La chiamavan loggia, forse perché lo era stata in antico”.


Nel 1900 Fogazzaro pubblica Piccolo mondo moderno ambientato nella villa di Montegalda, quindi Il Santo nel 1905 e Leila nel 1910. Questi ultimi romanzi crearono seri problemi col mondo cattolico a causa del Modernismo evoluzionista dell’autore.

Dei tre figli di Antonio Fogazzaro: la primogenita Teresa (chiamata Gina), sposò giovanissima nel 1888 il marchese Giuseppe Roi; il secondogenito Mariano, studente universitario a Padova, morì di tifo appena ventenne; la terzogenita Maria, ad appena sette anni, nel 1888, venne colpita da una forma di cossalgia che lasciò come residuo un difetto permanente nella deambulazione.

Teresa Gina Fogazzaro Roi (1869-1936)
Mariano Fogazzaro (1875-1895)
Maria Fogazzaro (1881-1952)

Quest’ultima, dopo una prima parte della vita dedicata al padre col quale ebbe uno straordinario rapporto affettivo ed intellettuale, visse con lui prevalentemente nella villa di San Bastiano, senza mancare di trascorrere vari periodi, soprattutto quelli estivi a Tonezza e a Velo d’Astico dove suo padre aveva fatto costruire, proprio per lei, la villa “La Montanina”. A seguito della morte del padre Antonio nel 1911 e della madre Margherita di Valmarana, deceduta nel 1922, dopo otto anni di infermità dovuta ad una paralisi, Maria si accinse a riordinare e valorizzare, anche con nuove pubblicazioni, l’opera paterna; successivamente si dedicò alle persone ed ai ceti sociali che si trovavano in maggior disagio e difficoltà, sulla linea ben marcata dai suoi genitori. Entrata nella “Famiglia delle Figlie di Dio” che si stabilirono in una villa Fogazzaro alle pendici di Monte Berico e dopo aver fondato a Vicenza l’opera “Protezione della giovane”, si trasferì nella sua casa di città, quella dov’era nato suo padre il 25 marzo 1842 e che divenne “Casa di Carità della Pia Unione dei Figli di Dio”, per accogliere vari orfanelli. Passò quindi a Venezia dove allestì la “Casa per le Figlie di Dio”; successivamente rientrò a Vicenza per fondare, con padre Rossetto, la “Casa del Pellegrino” a Monte Berico. Nel 1938 si trasferì a Vittorio Veneto in un una “Casa Famiglia di educazione” dove venivano cresciuti dei giovinetti poveri dando loro la possibilità di studiare ed eventualmente abbracciare la via del sacerdozio. Ed in questo luogo Maria si spense il 30 settembre 1952, lasciando gran parte delle sue cospicue fortune ai nipoti Roi.
Questa la genealogia e le vicende delle famiglie Roi e Fogazzaro, dalle quali discende Giuseppe Roi.

Antonio Fogazzaro (1842-1911)

Giuseppe Roi

Nato a Vicenza l’11 febbraio 1924, secondogenito di Giuseppe e di Antonia Lonigo di San Martino, trascorse l’infanzia nelle varie residenze di famiglia. Frequentò il liceo “Pigafetta” e successivamente si laureò in giurisprudenza a Ferrara. Anche lui si chiamava Giuseppe come il padre, il nonno e il bisnonno, ma tutti lo conoscevano come “Boso” e lui stesso racconterà l’origine del suo soprannome: un giorno il padre tornò dal cinema e disse alla mamma di aver visto un film in cui il protagonista era un bambino identico al loro figlio e che si chiamava Boso. Da allora tutti, parenti ed amici, lo avrebbero chiamato con quel nome curioso.

Marchesa Antonia Roi Lonigo,
madre di Boso (1892-1980)
Marchese Giuseppe Roi,
padre di Boso (1894-1947)

In questo ricordo non si può tralasciare una parte importante della sua vita: i rapporti familiari, le amicizie e le frequentazioni, ad altissimo livello, documentate dalle firme apposte sui libri degli ospiti e da una serie infinita di immagini fotografiche relative anche ai frequentissimi viaggi.

Luglio 1954, Boso Roi a bordo dello yatch Crèole con il suo ospite Stavros Niarchos
Creta, estate 1956. Boso Roi tra le rovine di un palazzo di Cnosso
Russia, Zagorsk 1972. Boso Roi con alcune compagne di viaggi
Afganistan, 11 Novembre 1965. Boso Roi all'interno delle statue di Buddha sulla valle di Bamiyan distrutte dai talebani nel 2001

Col giovane marchese Boso Roi Vicenza avrà un protagonista di livello internazionale nel mondo sociale e culturale. Uomo affascinante, di grande cultura ed intelligenza, non privo di nobiltà e di mezzi economici, non poteva certamente aver problemi ad essere conteso anche dai personaggi più in vista dell'alta società internazionale.

Cortina, gennaio 1943 con Giulia Maria Crespi e altri amici
Montegalda 1948 con Salvador Dalì
1964, Boso Roi accompagna Margaret d'Inghilterra e suo marito Lord Snowdon e seguito in visita a Vicenza
Bassano del Grappa. Da sinistra: - Barone Gottfried Von Cramm (marito di Barbara Hutton) - Barbara Hutton (1912-1979) - Giuseppe Nardini - Boso Roi
Spoleto, luglio 1973. Boso Roi, Rossella Falck,
Romolo Valli e Florance Marzotto
Giuseppe Roi con Carlo d'Inghilterra e alcune
amiche (Marina Emo, la prima a sinistra)
Venezia, da sinistra Pierre Rosenberg, Giuseppe Roi, Bèatrice de Rothschild e Pierluigi Pizzi
Il Marchese Giuseppe Roi e il violinista Salvatore Accardo

Ma quello che mi preme evidenziare sono l’amabilità e la gentilezza nell’approccio con le persone, doti che lo hanno fatto apprezzare in ogni ambiente ed in ogni occasione e la rara sensibilità nei confronti degli altri, sicuro retaggio della sua famiglia, che lo hanno portato a generosità mai ostentate.
Giuseppe Roi fu un uomo predisposto alla cultura e alle arti in tutte le sue varie manifestazioni, ma con una caratteristica particolare. Non volle godere di questo privilegio in modo personale, ma da uomo aperto alla socialità ed alla condivisione non si sottrasse ad affrontare situazioni scomode pur di rendere partecipi il maggior numero di cittadini alle manifestazioni artistiche.
Tra tutte le sue passioni culturali forse quella per la musica è stata la più sentita, tant’è che a soli trent’anni divenne presidente della Società del Quartetto di Vicenza, fondata nel 1910 da suo bisnonno Antonio Fogazzaro. Per Giuseppe “Boso” Roi, la Società del Quartetto era una “creatura” di famiglia. Il fondatore del Quartetto – Antonio Fogazzaro – era suo bisnonno; l’On. Giuseppe Roi, suo nonno, la presiedette dal 1911 al 1916; Antonio Roi, suo zio, ne fu a lungo Consigliere. Il marchese Roi fu eletto Presidente della nostra Associazione quando non aveva nemmeno 30 anni e fino agli ultimi mesi di vita continuò ad esserne uno dei più entusiasti sostenitori, nonché fedelissimo spettatore. Giuseppe Roi ebbe la straordinaria intuizione di riunire musica, architettura e pittura in un unico insieme organizzando concerti in luoghi sacri e ville, dove dalle tre arti congiunte potevano scaturire suggestioni ed emozioni rare.


Giuseppe Roi fu, negli anni dal 1956 al 1973, alla guida dell’Ente Provinciale per il Turismo di Vicenza che conobbe una stagione irripetibile.

Vicenza, 7 Ottobre 1958.
Il Marchese Giuseppe Roi con William
Pahlman alla “Casa di Palladio”

Ebbe la grande soddisfazione per sé stesso e per Vicenza di vincere la prima edizione del Festival Internazionale del Folklore di Bruxelles con una rappresentazione della partita a scacchi di Marostica, portata in quella capitale. Gli effetti positivi sul rinascente turismo del territorio vicentino furono incalcolabili. La città entrò di diritto come tappa d’obbligo nel nuovo Grand Tour del dopoguerra, facilitata in questo dalla squisita ospitalità del marchese Roi con ricevimenti memorabili nella sua villa di Montegalda. Così come restano indimenticabili i suoi dopo teatro dati in occasione delle prime degli spettacoli classici all’Olimpico dei quali basta ricordare quello in onore di Jean Vilar e Gérard Philipe, dopo la storica messa in scena di "Le Cid" di Corneille.

21 Settembre 1952, Teatro Olimpico.
Gérard Philipe sul Cid di Corneille con la
regia di Jean Vilar
Venezia 17 Giugno 1960.
Visita del Ministro Medici all’Ente
per le Ville Venete

La grande, generosa battaglia in difesa delle Ville Venete iniziò sul finire degli anni Quaranta per iniziativa di alcuni benemeriti uomini di cultura, oltre a Boso Roi, Bepi Mazzotti, Renato Cevese e Giovanni Comisso, supportati da enti ed associazioni locali.

Le armi dimostratesi subito efficaci furono la stampa ed una grande mostra che venne esportata, per anni, in tutte le principali città d’Europa e d’America. L'impegno finanziario era enorme; le sole forze dei privati non erano sufficienti, pertanto, sulla spinta di un’opinione pubblica sensibilizzata a tutti i livelli, nacque nel 1958 l’Ente per le Ville Venete che trovò in Boso Roi un grande sostenitore, tanto che ne assunse la presidenza dal 1960 al 1970 dando all’Ente un notevolissimo impulso.

Poiana Maggiore. Villa Poiana di Palladio. Affreschi di Bernardino India e Anselmo Canera
Poiana Maggiore. Villa Poiana di Palladio

Sotto la sua egida venne acquisita la palladiana villa Pojana, ridotta a deposito di bottiglie, ed in seguito perfettamente restaurata e valorizzata. Nel 1978, alla scadenza naturale dell’Ente, si ritenne opportuno di continuare un’opera tanto benemerita e venne creato l’Istituto Regionale delle Ville Venete che, nel 2009, nella sua sede istituzionale di Villa Contarini a Piazzola, ha assegnato al marchese Roi un premio alla memoria.

Entrò giovanissimo nel Rotary Club fondato a Vicenza nel 1934 da Gaetano Marzotto, che ne fu il primo presidente, e da Giuseppe Roi, padre, che fu presidente negli anni immediatamente successivi (1935-36-37).

Boso Roi fu presidente a sua volta, negli anni 1963-64 e governatore del Triveneto, Emilia - Romagna e San Marino nel 1967-68.

Vicenza 4 Luglio 1963
Giuseppe Roi assume la presidenza del
Rotary Club cittadino

Le donazioni

L’Associazione nazionale “Italia Nostra”, creata per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della nazione, nata a Roma nel 1955, trovò terreno fertile anche a Vicenza se già negli ultimi mesi del 1965 venne fondata la locale sezione. Il primo presidente fu il marchese Roi che tenne la guida dell’Associazione fino al 1969 con vicepresidente Renato Cevese e segretario Remo Schiavo.

Venne poi “Europa Nostra”, una fondazione europea nata nel 1963 per diffondere e conservare il patrimonio culturale del vecchio continente. Giuseppe Roi fu tra i soci fondatori e tenne la vice presidenza, quale rappresentante italiano, dal 1991 al 2006.

Nel 1964, il marchese Roi fonda con Piero Gazzola, storico soprintendente di Verona e padre della scienza castellologica, l “Istituto Italiano dei Castelli” per incoraggiare lo studio storico, archeologico ed artistico dei castelli e dei monumenti, nonché la loro conservazione e la promozione dei restauri. Fu in prima linea nel propugnare l’inserimento di Vicenza e delle ville palladiane nei siti protetti dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità.
Anche l’Accademia Olimpica lo ebbe tra i suoi sodali. Giuseppe Roi entrò come Accademico Olimpico quale componente la Commissione Biblioteca e Archivio per la Classe di Diritto, Economia e Amministrazione, e successivamente passò nella Classe di Lettere e Arti, dove rimase fino a settembre 2007.

Montegalda, Villa fogazzaro Roi, salone centrale

All’Accademia donò molti volumi di argomento teatrale così come, alla sua morte, volle legare alla stessa tutti quelli di uguale argomento, compresa una rara edizione della Opera Omnia di Carlo Goldoni, edizione Zatta del 1788 in 44 tomi più 3 delle Memorie.
L’Accademia italiana della Cucina venne fondata a Milano nel 1953 da Orio Vergani ed alcuni amici, tra i quali Dino Buzzati, Gio Ponti, Arnoldo Mondadori, Edoardo Visconti di Modrone, con lo scopo di salvaguardare i principi della civiltà della tavola italiana. Motivati dalla passione e da una profonda convinzione nei valori culturali, storici e umani in cui si fonda la cultura gastronomica di un Paese, lanciarono un appello: “La cucina italiana muore”, avendo percepito il rischio che correva, in un clima di capovolgimento e stravolgimento dei valori tradizionali. Vicenza accolse immediatamente tale messaggio tanto da creare una sezione molto importante di cui Giuseppe Roi fece parte per decine di anni fino al termine dei suoi giorni.
Il Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, creato nel 1955 per approfondire la ricerca e lo studio delle opere palladiane, ebbe Giuseppe Roi tra i firmatari dell'atto costitutivo. In seguito, nel 1963, ne divenne Presidente e, dal 1964 al 1972, Consigliere.
Al Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio donò, tramite la Provincia di Vicenza, la villa Fogazzaro Roi di Montegalda per essere adibita a scuola di architettura per studenti di diverse nazionalità, ma il progetto non decollò e la villa venne riconsegnata.

Il Museo Diocesano di Vicenza ha una sezione dedicata alla donazione Roi costituita da oreficeria sacra, paramenti e suppellettili ecclesiastiche provenienti dalla cappella annessa a villa Fogazzaro Roi a Montegalda. Alcuni pezzi appartennero a mons. Giuseppe Fogazzaro (1813 – 1901), zio dello scrittore Antonio, professore di teologia dogmatica e filosofia al Seminario vescovile ed insigne figura della vita civile e culturale della Vicenza dell’Ottocento. Il marchese Roi ha destinato nel suo testamento al Museo Diocesano tutti gli ex voto di qualsiasi genere e religione, provenienti da varie parti del mondo, ed altri oggetti, sempre di carattere religioso, per essere esposti nel suddetto Museo.
Anche la sezione balletto della Fondazione del Teatro di Vicenza ha avuto Giuseppe Roi benefattore munifico per lunghi anni con una passione per il balletto che spaziava, con grande competenza e raffinatissimo intuito, dalle espressioni più classiche a quelle più moderne e contemporanee. È al marchese Roi che Vicenza deve non solo la presenza di Rudolf Nureyev all'Olimpico, ma anche la nascita e l'affermazione sui palcoscenici della Città di giovani artisti e talenti emergenti.
È stato molto attivo nell’azione per la salvaguardia di Venezia, prima come vicepresidente del Comitato Italiano per Venezia e componente di “Save Venice” e successivamente come membro del Comitato Internazionale di “Venetian Heritage”.
Non mancò di mettersi a capo del Comitato Internazionale per la tutela e la conservazione dell’antico Arsenale di Venezia.
Esemplare è stato l'atto di mecenatismo compiuto da Giuseppe Roi verso il Museo di Palazzo Chiericati. Iniziato fin dalla prima metà degli anni Sessanta del Novecento con il restauro delle decorazioni ad affresco e stucco delle sale del piano terreno, dunque gli ambienti di diretta edificazione palladiana: la Sala dello Zodiaco, la Sala del concilio degli Dei e la Sala delle Storie di Ercole. Un intervento di eccezionale importanza da Giuseppe Roi dedicato, con l'apposizione di tre targhe commemorative, alla memoria dell'omonimo nonno Giuseppe Roi (1863-1926), dello zio Antonio Roi (1906-1960) e del padre Gino Roi (1894-1947). Il rapporto privilegiato di Roi con il Museo si è manifestato nei decenni successivi in varie opportunità per la valorizzazione dell'istituto museale. Dal restauro di capolavori pittorici quali Le quattro età dell'uomo di Anton van Dyck, all'acquisto di opere di significativo interesse per le collezioni vicentine come il dipinto che rappresenta La nascita della Vergine di Giovanni Speranza e al sostegno generoso offerto a tutte le più importanti iniziative espositive e culturali.
Nel 1988 ha costituito la Fondazione Giuseppe Roi con lo scopo di perseguire finalità di promozione, valorizzazione, divulgazione della cultura e dell'arte e in particolare di favorire il Museo Civico di Vicenza e le sedi museali vicentine. La Fondazione, tramite il finanziamento personale del marchese Roi, ha realizzato, tra l'altro, la prestigiosa, monumentale pubblicazione dei cataloghi scientifici delle collezioni museali, giunta oggi all'ottavo volume con altri 5 in corso di stampa. In essi si trovano schedati e analizzati tutti i dipinti, le sculture e le arti applicate del Museo Civico di Vicenza. Allo stesso Museo sono stati destinati, per lascito testamentario pervenuto il 23 aprile 2010, il corpus di 94 opere tra dipinti, disegni, incisioni e sculture di proprietà Roi, tra i quali opere di: Garofalo, Maffei, Tiepolo, Boldini, Picasso, Maccari e molti altri. Tutto il lascito è documentato nel VI catalogo scientifico del Museo Civico di Palazzo Chiericati.

Giandomenico Tiepolo, Testa di orientale con libro.
Pinacoteca di Palazzo Chiericati, Vicenza

Benvenuto Tisi detto Garofalo – Sacra Famiglia con i Santi Giovannino ed Elisabetta in un paesaggio.
Olio su Tavola

Pablo Picasso, Tre figure nude

Nel 1985 la città di Vicenza gli conferì la Medaglia d’Oro per benemerenze acquisite nell’operare a favore della cultura e del patrimonio artistico. Fece seguito nel dicembre del 1997 la consegna della targa "Città di Vicenza" assegnata dal Comune alla Fondazione Giuseppe Roi.

Considerando le elargizioni del marchese Roi, il più proficuo insegnamento museale che se ne ricava è che nelle donazioni bisogna saper contestualizzare gli oggetti che passano dalla casa alla collezione pubblica.

Già oltre 35 anni fa, possedendo un tessuto di eccezionale fattura e qualità, prescelse come destinatario un museo straniero, la collezione della Fondazione Abegg Stiftung, nei pressi di Berna, specializzata proprio in tessuti rari.

In quest’ottica si realizzò la destinazione dei dipinti, dei disegni, e delle incisioni al Museo Civico di Palazzo Chiericati, dell’oreficeria sacra, dei paramenti e delle suppellettili ecclesiastiche al Museo Diocesano, dei libri alla Biblioteca Bertoliana e dei volumi teatrali all’Accademia Olimpica, dei libri di storia al Museo del Risorgimento di villa Guiccioli, tutti di Vicenza, e le ceramiche venete al Museo di Bassano del Grappa.

Anche il testamento, un capolavoro di perfezione, è in linea con la sua personalità e con il suo ruolo. Ultimo della sua famiglia volle decidere, fin nei minimi particolari, l’assegnazione anche del più piccolo oggetto, descrivendolo perfettamente e ponendo, come nel caso di tutte le ceramiche, pure dei bollini con delle sigle per la sicura identificazione del destinatario. L’amore per il collezionismo ha portato il marchese ad esplorare campi inaspettati  di forme d’arte e di culture non solo italiani. Gli oggetti scelti trovavano sempre una giusta collocazione nelle sue dimore e nelle sue stanze: così gli oggetti cinesi predominavano a Roma, quelli veneti a Vicenza ed ovviamente quelli fogazzariani a Oria. Negli archivi di casa Roi venivano registrati gli ingressi di questi oggetti con un numero d’inventario, il documento d’acquisto, il prezzo pagato ed una foto, oppure l’ndicazione “di casa” per quelli ereditati. Ci sono anche degli appunti credo molto dolorosi a proposito di alcune ceramiche: “tutte rubate dal numero ... al numero ...”. Purtroppo, nel tempo, vennero a mancare molti oggetti sia a Montegalda che a Oria, a causa di ingenti furti subiti. L’interesse per la ceramica, per la quale condivideva quanto scritto da Alvar Gonzàles - Palacios: “Non voglio sentirmi dire che le porcellane non sono cose serie: superficiale è chi le considera oggetti frivoli non sapendo quanta profondità occorra per capire la fragilità”, lo ha portato ad avere un ruolo privilegiato con Bassano favorito anche dai molti amici che contava e dai buoni rapporti con le istituzioni museali.

Le elargizioni ai Musei di Bassano del Grappa iniziarono nel 1980 con un dono dei fratelli Roi, Giuseppe e Maria Teresa Roi Ceschi a Santa Croce, di alcuni vasi di farmacia in ricordo della loro madre Antonia Roi Lonigo. In seguito le donazioni ed i comodati (depositi a titolo gratuito) si fecero di anno in anno sempre più consistenti e, alla sua scomparsa, i comodati divennero proprietà museale; a questi si aggiunse il cospicuo lascito di tutte le ceramiche di manifattura veneta esistenti nelle residenze Roi. Il testamento del marchese è molto complesso e particolareggiato. Ha nominato erede universale la Fondazione Giuseppe Roi da lui creata con le finalità di cui abbiamo già detto. La villa Fogazzaro di Oria l’ha legata al F.A.I. (Fondo Ambiente Italiano) dopo essersi fatto promettere dalla sua presidente, Giulia Maria Crespi, che l’avrebbe mantenuta sempre nel medesimo stato in cui l’avrebbe ricevuta. Per rendere questo possibile ha dotato il suddetto lascito di una cospicua rendita. L’amore per questi luoghi tanto cari a tutti i suoi, dal bisnonno Antonio Fogazzaro allo zio Antonio che, morto nel 1960, volle essere qui sepolto, era noto a tutti.

Oria di Valsolda, Villa Fogazzaro Roi, lo studio di Antonio Fogazzaro

Questa dimora, frutto di accorpamento successivo di più fabbricati, presenta aspetti tipicamente ottocenteschi, anche se, a seguito dei lavori realizzati negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento da Giuseppe Roi, il primo e il secondo piano sono stati modificati, per inserire nuove stanze da bagno, affiancate ognuna a una camera da letto, in modo da accogliere adeguatamente i frequenti ospiti. L’allestimento visibile oggi è anch’esso frutto dell’intervento raffinato e meticoloso del marchese Roi che ha affiancato al nucleo di oggetti originali, mobili e manufatti della stessa epoca provenienti da altre residenze fogazzariane.

Le disposizioni testamentarie a questo riguardo sono state veramente minuziose: al F.A.I. è andata l’intera proprietà di Oria, compresi tutti gli arredi e i ricordi della famiglia Fogazzaro. Quanto non esposto ha seguito strade diverse sia per quanto riguarda la biblioteca che l’argenteria e le ceramiche. Infatti quelle conservate entro i mobili della sala da pranzo e nella camera delle porcellane, se di manifattura veneta, sono state lasciate ancora al Museo di Bassano.

Tutto è stato previsto ed indicato dal marchese Roi con obbligo di eseguire le sue volontà: alcuni esempi che riguardano la villa di Oria, avendone disposto l’apertura al pubblico, che deve apparire come se il proprietario fosse ancora in casa.

Tralascio per problemi di spazio le “Istruzioni per l’apparecchio per 10 commensali del tavolo nella sala da pranzo della Villa Fogazzaro Roi in Oria di Valsolda, Co., al fine che la tavola in sala da pranzo abbia a presentarsi ai visitatori sempre così allestita...” (ovviamente egli ha previsto anche una seconda versione per il ricambio), ma riporto le disposizioni di dove e come deve essere posizionato il servizio da caffè Ginori (corredato anche da un suo disegno a scanso di equivoci):

Il servizio completo di: 1 caffettiera grande ed 1 più piccola; 1 zuccheriera con coperchio; 7 tazzine da caffè alte e 4 più basse con i loro piattini, più 2 piattini senza tazzine; di porcellana con decoro a fiorellini viola della manifattura di Doccia XVIII° secolo, che si trova attualmente nella così detta “Camera delle Porcellane”: affinché possa essere presentato ai visitatori della villa nel modo seguente: uno per parte del caminetto in marmo nero del salotto grande si posizioneranno due tavolini ovali pieghevoli, con griglie in ottone (attualmente appesi nella “camera delle porcellane”) contenenti il primo: le due caffettiere; la zuccheriera; eventualmente i 2 piattini rotondi; 1 raccoglitore per lo zucchero in polvere in argento, più o meno così: (segue disegno a matita sopra descritto).

Il secondo: le 7 più 4 tazzine da caffè (o meno, se non ci stessero tutte) ognuna fornita di un cucchiaino in argento, del XIX secolo cifrati G.F.R. (Gina Fogazzaro Roi, mia nonna paterna, figlia primogenita di Antonio Fogazzaro).

Anche per la lapide in ricordo della donazione ha lasciato precise disposizioni.

Lapide in pietra, non in marmo, su cui centrate ed incolonnate dovranno essere incise in caratteri romani/bodoniani le parole: In onore e in memoria di Antonio Fogazzaro questa casa da lui amata e celebrata il pronipote Giuseppe Roi al Fondo per l’Ambiente Italiano affidò A.D. (anno della mia morte).
N.B. I nomi di Antonio Fogazzaro andranno incisi con caratteri più grandi di quelli di Giuseppe Roi, i quali a loro volta saranno poco più grandi di quelli del Fondo per l’Ambiente Italiano; i tre risultando progressivamente più grandi di quelli delle rimanenti parole incise sulla lapide
”.

Con Bassano, Boso ha mantenuto tutte le promesse fatte nei vari incontri avuti. Così gli oggetti dati in comodato gratuito al Museo di Bassano sono diventati proprietà del Comune di Bassano del Grappa.

Queste sono le sue volontà riguardanti il Museo di Bassano:
Lascio al Museo Civico di Bassano del Grappa (VI) per il Museo della Ceramica, ad esso annesso, tutte le ceramiche, terrecotte e porcellane di mia proprietà, comprovatamente manufatte a Venezia, Bassano del Grappa, Vicenza e nella Regione Veneto, sino a tutto il 31.12.1999, alla condizione esatta ed imprescrittibile che entro un anno dal giorno in cui ne entrerà in possesso, esse vengano inventariate ed esposte opportunamente e così rimangano sempre corredate dall’iscrizione: “Lascito del marchese Giuseppe Roi (1924-…) anche in memoria dello zio Antonio Roi (1906-1960)”. Qualora detto museo non possa o non voglia rispettare, esattamente e “in toto”, questa condizione, in qualsiasi momento detti oggetti diventeranno automaticamente proprietà del museo del ’700 veneziano in Ca’ Rezzonico a Venezia, limitatamente a quelli comprovatamente manufatti nel XVIII secolo, gravati da condizioni pari.
Qualora neppure questo museo possa o voglia rispettare, esattamente o “in toto” detta condizione, in qualsiasi momento, detti oggetti diventeranno di proprietà della F.G.R.
(Fondazione Giuseppe Roi) che potrà usufruirne per le sue finalità statutarie.
Lascio pure al Museo di Bassano del Grappa per il costituendo “Museo Remondiniano”
(il testamento è del 2000) “n. 2 contenitori, con forma e rilegatura a libro, contenenti “cammei” in gesso di sculture Romane Antiche e di opere di Antonio Canova, firmati Pietro Paoletti - Roma. Inoltre una serie di giochi di fattura remondiniana ed oggetti in lacca povera, così pure dei teatrini di carta di cui uno esposto nel 1988 nella mostra “Il Mondo Nuovo” curata dal Museo Civico di Bassano.
Sarei contento che tutti gli oggetti da me legati al Civico Museo di Bassano del Grappa, una volta entrati in sua proprietà e suo possesso, fossero presentati opportunamente al pubblico in occasione della tradizionale festa di San Bassiano immediatamente successiva a tale loro entrata in proprietà e possesso
”.

Vicenza. palazzo Roi. Sala da pranzo con piatti decorati dalla manifatturiera

Bassano del Grappa. Palazzo Sturm. Museo della ceramica "Giuseppe Roi" con i piatti col decoro a frutta provenienti da Casa Roi

Con codicillo del 22 luglio 2005 ha legato alla Biblioteca di Bassano del Grappa tutti i volumi attinenti alla ceramica in senso lato, ivi compresi i cataloghi di mostre su detto argomento, con esclusione dei volumi di cui fosse già provvista. Ugualmente sono pervenuti alla Biblioteca di Bassano tutti i volumi destinati alla Civica Biblioteca Bertoliana di Vicenza poiché da questa già posseduti.
Indubbiamente questi lasciti partono da molto lontano. Sono frutto di rapporti amichevoli, di sicurezza nella futura destinazione delle opere lasciate e della loro collocazione in adeguati spazi museali. L’Amministrazione Comunale di Bassano del Grappa, giustamente sempre attenta nei suoi confronti, ha conferito al marchese Giuseppe Roi il prestigioso Premio Cultura Città di Bassano 1997 con la seguente motivazione:

Bassano del Grappa, museo civico, 19 Gennaio 1998.
Giuseppe Roi riceve il premio CULTURA CITTA’ DI BASSANO dal Sindaco Lucio Gambaretto

Vicenza, 20 Dicembre1997. Il sindaco di Vicenza Marino Quaresimin consegna la targa città di Vicenza alla Fondazione Giuseppe Roi

“Per l’alto contributo a favore della conservazione, conoscenza, valorizzazione del patrimonio storico-artistico del territorio in ambito nazionale ed internazionale e per l’apporto fondamentale alla nascita e all’incremento delle collezioni di Palazzo Sturm, uno fra i più importanti musei per la storia della ceramica grazie al suo illuminato mecenatismo”.

Anche il rapporto con l’Associazione degli Amici dei Musei e dei Monumenti di Bassano del Grappa, di cui era socio onorario, è stato di grande attenzione e disponibilità. Con il lascito a seguito della scomparsa del marchese, il Museo della Ceramica di Palazzo Sturm (il 24 Novembre 2011) è stato presentato nel riallestimento delle sue collezioni ed intitolato a Giuseppe Roi.

Bassano del Grappa. Palazzo Sturm.
Museo della Ceramica - Guseppe Roi

La morte del fraterno amico Ennio Valente portò Giuseppe Roi a sostenere, assieme alla famiglia Valente e all'Associazione Amici del Rene, la creazione di un "Centro Studi Ennio Valente", dotando il dipartimento di Nefrologia dell'Ospedale di Vicenza di una sala riunioni e di una biblioteca, completa di arredi e di attrezzature tecnico scientifiche. Il dipartimento di Nefrologia dell'Ospedale di Vicenza e l'Associazione Amici del Rene di Vicenza, grati per l'impegno del marchese Roi e per il generoso sostegno della Fondazione che ne continua l'opera, hanno istituito nel 2012 il Centro di Cultura Medica "Giuseppe Roi" all'interno del IRRIV (International Renal Research Institute Vicenza). Dal gennaio 2013 si è così sviluppata un'intensa attività didattica e di ricerca che ha portato a numerose pubblicazioni in campo internazionale, a convegni di successo e all'ospitalità di giovani ricercatori da tutto il mondo.

Quanto emerge dalle molteplici attività di Giuseppe Roi indica chiaramente che questa persona era dotata di alte ricchezze intellettuali, assecondate da grande inventiva e capacità operative. Con il suo carisma otteneva il rispetto ed il meglio dalle persone che incontrava che si sentivano gratificate soprattutto quando il marchese, frequentandole, invitava a dare del tu. È auspicabile che sappiamo essere degni eredi di una così grande personalità e vogliamo seguire ogni indicazione ribadita in un suo intervento pubblico nel 1996, quasi un testamento spirituale, che qui riportiamo: "si sente ripetere incessantemente che il nostro Paese possiede vertiginose, pur mai puntualizzate percentuali di opere d'arte in rapporto ai beni artistici Europei e Mondiali: troppe si afferma, e perciò stesso ardue, per non dire difficili, addirittura impossibili a controllare, proteggere, salvare. A mio sommesso avviso, esse non saranno mai "troppe", a condizione e fin tanto che proporzionata ne sia la responsabilità attiva, che spetta allo Stato e coinvolge ognuno di noi. Un poco alla volta, ciascuno secondo i modi nostri propri e l'onestà dei nostri limiti, vediamo di compiere il nostro dovere, non scritto ma preciso, per cercare, se non altro, di assolvere anche in parte minima al nostro debito nei confronti della ricchezza e della gioia, che ci sono state donate e affidate da chi ci ha preceduto, salvaguardandole per coloro che verranno dopo di noi e ce ne chiederanno conto. Dobbiamo, possiamo riuscire: con professionalità, con pazienza, con dedizione."


Le fonti per questo scritto sono:

I Libri d’oro della Nobiltà Italiana.

Bressan, M. Illetterati, V. Giacomin, Cavazzale e i Roi, S. I. 2000.
Roi, V. Scheiwiller (a cura di) Antonio Fogazzaro il poeta, il romanziere e il saggista, ediz. Scheiwiller, 1991.
Fogazzaro, Piccolo mondo antico, Mondadori (ediz. a cura di P. Nardi), Milano 1955.
Gallarati Scotti, La vita di Antonio Fogazzaro, Baldini & Castoldi, Milano 1920.
Pendin (a cura di) Maria Fogazzaro breve profilo - a 55 anni dalla sua dipartita, Vicenza 2007.
Documenti vari, stampa quotidiana e periodica.

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